Speciale Green Labels
Migliorare l’impatto ambientale delle proprie produzioni è oggi una chiave competitiva cruciale per le aziende del fashion system vista la crescente attenzione al “green” che premia prodotti e soluzioni che dimostrano un orientamento alla tutela e preservazione dell’ambiente.
Nel settore calzaturiero si è passati da condizione premiante a essenziale.
E, in un modo o nell’altro, tutte gli attori della filiera ne sono coinvolti, nessuno escluso, dal top brand internazionale al grande terzista e al piccolo artigiano fino al fornitore e addirittura al rivenditore/distributore di materiali e componenti.
Parafrasando un tema noto a tutti (il 110%), si tratta solo di decidere se si vuole essere un soggetto “trainante” o un soggetto “trainato”.
Premessa
Mentre sto scrivendo questo pezzo, la guerra devasta un pezzo di Europa … è difficile trovare la necessaria serenità per far bene …
Proprio il conflitto in Ucraina e le tensioni sul gas, oltre a cambiare le nostre vite, stanno minando le fondamenta delle emissioni obbligazionarie e delle azioni ESG, quelle cioè che rispettano rigidi obiettivi ambientali, sociali e di governance. E così gli investimenti nei settori della difesa, degli idrocarburi e del carbone, prima abbandonati dai risparmiatori, rientrano in tutta fretta nei portafogli dei fondi di tutto il mondo. Dietro front, signori ! Sono le contraddizioni della civiltà moderna …
Gli ultimi eventi stanno infatti incrinando le basi della finanza sostenibile, una tendenza che ha contagiato in massa banche e risparmiatori ma che oggi mostra tutte le sue contraddizioni, rivelando i limiti di una visione del mondo un po’ troppo semplicistica se non addirittura manichea.
Il fenomeno della finanza sostenibile è cresciuto sotto l’etichetta ESG (Environmental, Sociale and corporate Governance): le aziende che raggiungono una serie di obiettivi ambientali e/o sostengono certi movimenti sociali e/o ancora vengono governate con criteri rispettando i criteri di diversità, equità e inclusione, ottengono l’approvazione degli azionisti e degli investitori, ottenendo di conseguenza più facilmente i finanziamenti di cui hanno bisogno.
Ad alimentare questo movimento c’è l’enorme massa su soldi che investitori grandi (come i fondi pensione o i fondi sovrani) e piccoli vogliono indirizzare verso attività positive per l’ambiente e la società. Per dare una idea della dimensione del fenomeno, solo nel quarto trimestre del 2021, sono stati versati a livello globale 142,5 miliardi di dollari in fondi specializzati in investimenti ESG, il 12% in più rispetto al trimestre precedente. Il totale delle attività a livello mondiale sostenibili ammonta a circa 2.700 miliardi di dollari detenuti da oltre 5.900 fondi, tre quarti dei quali in Europa. La pressione sulle banche e sui gestori per rispettare le linee guida sulle questioni ambientali, sociali e di governance si è fatta davvero fortissima.
L’intento è ottimo, perché favorisce per esempio lo sviluppo delle energie alternative, spinge le imprese a sostenere movimenti di difesa dei diritti umani e a attuare progetti di uso razionale delle risorse, dall’impiego di materiale riciclato alla fabbricazione di beni pensati per un loro recupero/riuso/riciclo. In questo contesto, le imprese fanno di tutto per apparire verdi e responsabili, in modo da convogliare nelle loro casse parte della colossale liquidità disponibile.
Anche il settore della moda non è immune da tale tendenza mondiale e anzi, dopo alcuni approcci iniziali ad opera di alcuni dei più famosi brand internazionali, oramai tutte le imprese, dalle grandi griffe ai marchi meno noti, hanno adottato politiche ed azioni concrete coerenti con i principi ESG.
Focalizzando ora l’attenzione al solo aspetto ambientale, gli obiettivi perseguiti dal fashion system si sono principalmente orientati sia verso la sostenibilità di processo, finalizzata alla riduzione/eliminazione/compensazione delle emissioni di gas serra lungo tutta la filiera fino ad arrivare alla condizione di carbon neutral, che verso la sostenibilità di prodotto, mirata alla progettazione/realizzazione di prodotti a basso impatto ambientale, ovvero con caratteristiche quali l’elevato contenuto di materiale riciclato/rigenerato/recuperato, la riciclabilità parziale/totale, la bio/foto-degradabilità, ecc.
Questo mainstream, che nasce certamente a partire dalle multinazionali e dalle grandi imprese, finisce poi per coinvolgere l’intera supply chain, innescando ineludibili reazioni a catena a cui tutti i fornitori/terzisti coinvolti debbono necessariamente conformarsi, pena l’esclusione dalla filiera stessa.
Il perseguimento di tali obiettivi di carattere ambientale richiede sia alle grandi imprese che a tutti i fornitori/terzisti delle loro filiere notevoli sforzi in termini organizzativi, gestionali, tecnici ed economici per l’implementazione di iniziative e progetti finalizzati alla sostenibilità.
Per attestare il perseguimento di tali obiettivi, infatti, dopo una prima fase inziale in cui poteva essere sufficiente una semplice e generica dichiarazione qualitativa rilasciata dall’impresa al committente, oggi viene richiesta una documentazione tecnica specifica, oggettiva, quantitativa, meglio se rilasciata/avvalorata da un Ente Terzo. Si parla cioè di certificazioni ambientali o anche di etichette ambientali (certificazioni, attestazioni, validazioni, ecc. relativamente a norme nazionali/internazionali, regolamenti europei e protocolli proprietari), caratterizzate da una notevole varietà, con differenze anche sostanziali tra le quali è bene cercare di orientarsi.
L’obiettivo che si prefigge questo speciale è quello di fornire una guida sintetica utile al lettore per orientarsi nel variegato mondo delle certificazioni ambientali applicabili nel settore calzaturiero, fornendo una panoramica delle etichette ambientali (green labels) più utilizzate, provando a fare chiarezza sulle principali caratteristiche e le peculiarità di ciascuna.
Ricostruire invece un quadro quantitativo della diffusione delle certificazioni ambientali a livello internazionale rappresenta un’impresa non semplicissima: per la molteplicità dei soggetti in campo, per la disponibilità frammentaria di dati, per l’eterogeneità e la credibilità delle fonti, ecc.
Un lavoro che intende dare una dimensione qualitativa del fenomeno e delle sue principali linee di tendenza, che non ha certamente la pretesa di essere esaustivo ma che si basa sull’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro sul campo da parte di chi scrive.