Il compenso del CTU è sempre a carico solidale delle parti
Il Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) svolge un ruolo cruciale nei processi giudiziari, fornendo al giudice un’analisi tecnica imparziale e indipendente. Ma chi paga il suo compenso? Un punto spesso controverso, che ha portato a diverse interpretazioni e contenziosi.
La risposta è chiara: il compenso del CTU è sempre a carico solidale delle parti, a prescindere dall’esito del processo.
Come funziona la liquidazione del compenso?
Il CTU, dopo aver eseguito le sue prestazioni, ha diritto ad un compenso liquidato dal Giudice con decreto. Una volta depositata la perizia, il Consulente può richiedere la liquidazione della sua parcella.
Ma attenzione! Il Consulente Tecnico non può agire direttamente contro la sentenza per ottenere il pagamento. La sentenza infatti fa stato solo tra le parti, mentre il CTU è un ausiliario del Giudice. Il decreto di liquidazione è l’unico documento valido per il recupero del compenso.
Perché il compenso è a carico solidale?
Il principio della soccombenza, che determina il pagamento delle spese processuali in base all’esito del giudizio, non si applica al CTU. Il Consulente Tecnico non è parte del processo, ma un ausiliario del Giudice. Pertanto, il suo compenso deve essere corrisposto da entrambe le parti, a prescindere dalla vittoria o dalla sconfitta.
Cosa significa per le parti?
Le parti devono pagare il compenso del CTU, indipendentemente dal risultato del processo. Questo significa che anche la parte soccombente dovrà contribuire al pagamento della parcella del Consulente.
In sintesi:
- Il compenso del CTU è sempre a carico solidale delle parti.
- Il CTU deve richiedere la liquidazione del suo compenso con un decreto del Giudice.
- Il principio della soccombenza non si applica al CTU.
- Entrambe le parti devono contribuire al pagamento del compenso, anche la parte soccombente.
La Suprema Corte ha stabilito che il compenso del Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) è un’obbligazione solidale a carico di tutte le parti del giudizio, indipendentemente dalla ripartizione delle spese processuali.
Il principio è stato ribadito in diverse sentenze, tra cui Cass. n. 6199/96, 2262/04, 17953/05, 20314/06 e 23586/08. Questo significa che, anche se la sentenza del giudice stabilisce che le spese processuali siano a carico di una sola parte, o solo parzialmente a carico di quella intimata, il CTU può richiedere il pagamento del suo compenso a qualsiasi parte del giudizio.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il compenso del CTU ha natura solidale perché la sua prestazione è svolta nell’interesse di tutte le parti del giudizio. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 23586/2008, ha sottolineato che “L’obbligazione nei confronti del consulente per il soddisfacimento del suo credito al compenso deve gravare su tutte le parti del giudizio in solido tra loro, prescindendo dalla disciplina in ordine alla ripartizione delle spese processuali fra le parti, che è regolata dal principio della soccombenza”.
Questo principio è stato ribadito in una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23133 del 2015), che ha stabilito che “Le parti sono solidalmente responsabili del pagamento delle relative competenze anche dopo che la controversia, durante la quale il consulente ha espletato il suo incarico, sia stata decisa con sentenza, sia definitiva sia non ancora passata in giudicato, a prescindere dalla ripartizione di dette spese nella stessa stabilita”.
In conclusione, se il CTU non riceve il suo compenso dalle parti dopo l’emissione del decreto di liquidazione, le parti sono obbligate solidalmente a corrisponderlo, indipendentemente dalla diversa ripartizione delle spese stabilita nella sentenza che definisce il giudizio.
L’unica eccezione a questo principio è la revoca o modifica del decreto di liquidazione prima dell’emissione della sentenza definitiva.
Nota Bene: Questo articolo ha lo scopo informativo e non costituisce consulenza legale.
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