Il concetto moda tra identità e alterità.
Erano i tempi in cui lo “stilista” interpretava, filtrava, recepiva con stati d’animo e novità per infonderle nel prodotto tessile una denominazione innovativa e tanto in voga con il concetto “Trend” e/o “Moda”. Una figura nata verso gli anni ottanta dello scorso secolo capace di dare creatività attraverso diversi stili e di modi differenti per identificarsi, dopo le resistenze evoluzioni sartoriali e industriali iniziate nel dopoguerra con la confezione pronta, che ha solo soddisfatto in parte il giovane consumatore di vestirsi interrompendo una cultura dominante e di omologazione più o meno rilevante rispetto alle regole sociali. Essere alla “Moda” è stato pertanto per lungo tempo un concetto “innovativo” che ha soddisfatto il consumatore nel sentirsi a proprio agio negli ambienti contemporanei. L’abito e l’accessorio di moda firmato dallo stilista più in voga diventa quindi per il consumatore l’emblema di una “identità” da copiare e in cui ci si può collocare dentro un livello sociale, ma involontariamente circoscritto dentro un’alterità polarizzata spesso priva di personalizzazione. L’abito quindi crea una vera identità all’uomo o è l’uomo che attraverso, la propria personalizzazione dell’abito, crea un proprio stile? È sufficiente vestirsi attraverso i dettami della moda per essere definiti Trend e distinguersi dalla massa? Su molteplici domande sono susseguite diverse risposte e molti consumatori hanno potuto scegliere la propria definizione più appropriata e, a seconda della propria autostima, identificarsi in un contesto o nell’altro. Quindi essere alla moda o essere trend ha fatto credere al consumatore di essere veramente un protagonista nei costumi sociali? Nella terminologia tecnica la parola moda ha un valore ben diverso dall’essere autentici in quanto il vero significato si ripercuote su qualcosa che è seguito con maggiore frequenza dalla massa. Così anche il termine trend è inappropriato in quanto non è in realtà qualcosa di innovativo ma è una previsione basata su delle componenti storiche. Forse in tanti anni di continua e caotica evoluzione non ci siamo abbastanza soffermati sul vero significato dei due termini, oppure sono stati volutamente enfatizzati e incitati per far credere al consumatore che solo attraverso queste definizioni si può essere appagati e innovativi. Sotto il profilo commerciale si parla molto della crisi del settore moda, ma forse non si considera se tutto ciò è dovuto da un caotico e continuo bombardamento comunicativo dei diversi stili proposti dagli stilisti, che alla fine sono tutti uniformati da dettate tendenze polarizzate. Probabilmente non ci si sofferma abbastanza ad analizzare che le dinamiche dei giovani consumatori, dal dopoguerra ad oggi, sono caratterizzate soprattutto da elementi contrapposti in cui ha prevalso alternativamente il senso di identità a quello di alterità, come il differenziarsi e l’uniformità, l’apparire e il mimetizzarsi, la distinzione e la coesione. È certo che dal punto di vista degli elementi d’alterità il problema d’identificazione non sussiste, ma l’identità personale del consumatore può essere valorizzata ancora attraverso le imposizioni dello stilista o della moda, o il consumatore stesso dovrà assumere un ruolo deviante interrompendo le direttive su ciò che è di moda?