Innovazione Vs Tradizione Manifatturiera
Le calzature “Made in Italy” sono sinonimo di stile ed eccellenza grazie alla selezione dei materiali utilizzati e alla maestria degli artigiani italiani. Sono molti i marchi italiani di calzature che si sono affermati sul mercato internazionale per quel valore artigiano capace di donare ad ogni prodotto lusso, tecnica, tendenza e raffinatezza. Un valore che è intrinseco nella produzione delle calzature Made in Italy e che richiede anni di esperienza e abilità con l’attenzione ai dettagli, rifiniture e design. Un valore che si tramanda di generazione in generazione almeno in quei distretti calzaturieri che sono diventati oggi dei centri istitutivi nel territorio italiano.
Saper produrre calzature è un’arte che non può essere improvvisata senza conoscere le tecniche da utilizzare. Perché le tecniche sono molte e non sono tutte adatte ad ogni tipologia di scarpa. Ogni tipo di calzatura richiede una scelta tecnica in base alla forma e al tipo di materiale che verrà impiegato. Non solo un valore estetico, ma la tecnica crea l’origine anche alla fattibilità del modello attraverso requisiti qualitativi del comfort e della durabilità della scarpa.
Molti vecchi strumenti dei calzolai sono stati sostituiti oggi da macchine e macchinari, ma queste hanno solo agevolato la produzione della calzatura nei confronti di una produzione fatta esclusivamente a mano. Supporre che la macchina possa costruire da sola la calzatura senza il supporto e la conoscenza della tradizione tecnica che caratterizza l’artigiano italiano è impensabile. Anche se sono molte le aziende estere che pensando di farlo ugualmente, non riescono tutt’oggi a competere con il mercato Italiano che lo distungue appunto per i diversi fattori di eccellenza.
Altri fattori come la capacità competitiva, innovazione nei procedimenti di fabbricazione tradizionali, qualità e competenza degli operai calzaturieri, sono gli elementi che nel tempo hanno determinato e determinano, anche attraverso trasformazioni, la primaria posizione dell’Italia nei mercati internazionali dell’industria calzaturiera. Le trasformazioni però non sono sempre volontarie, in quanto i sopravventi accindentali sono stati sempre presenti nel corso storico.
Il sopravvento delle imposizioni
A chi non è capitato di esclamare “qui sono tutti impazziti”. È l’espressione intercalante più usata quando fenomini esterni si innescano prepotentemente in una situazione ordinaria causando tuoni e fulmini. È un po’ quello che sta succedendo da qualche anno nel settore industriale in genere, ma anche in quello calzaturiero con l’allarmismo climatico del pianeta. Il Green Deal europeo difatti non è più soltanto una proposta e un’obiettivo ambizioso per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, ma questa è diventata per l’UE un obbligo giuridico. Un obbligo che entra violentemente nell’industria manufatturiera, soprattutto tessile, chiedendogli di rispondere a un quesito dalla portata straordinaria, e cioè come trasformare, in tempi rapidi, la vita umana in modo da permettere a oltre 8 miliardi di persone di vivere in modo sostenibile e pacifico sul pianeta Terra. L’Europa deve trasformare radicalmente e rapidamente la sua economia, il suo stile di vita e il suo rapporto con l’ambiente. In questo processo di cambiamento radicale, il sistema industriale ha una responsabilità centrale. I fattori chiave di tale processo trasformativo, che coinvolgono in prima linea istituzioni e imprese, sono la transizione ecologica e quella digitale. Una duplice transizione (green e digitale) senz’altro necessaria ma che introdurrà degli impatti e costi aggiuntivi che non potranno essere sostenuti dalle imprese meno strutturate o dalle persone più vulnerabili. I piani dell’Industria 4.0 hanno indubbiamente contribuito a sostenere la componente di investimenti dell’economia manifatturiera nazionale, facendo introdurre tecnologie abilitanti nelle imprese, ma tutto ciò non sarà sufficiente, in quanto il cambiamento prevederà anche una nuova ristrutturazione organizzativa con una filiera più integrata e digitale. Con l’introduzione delle tecnologie digitali bisognerà ripensare anche ad alcune politiche volte al rapporto formazione lavoro con nuove figure professionali nella forza lavoro attuale.
Lavoro e Formazione ..verso quale direzione?
A braccetto tra la duplice transizione (green e digitale), la fa da padrone l’obiettivo principale di Industria 4.0 che non ha come obiettivo solo quello di trasformare la realtà delle fabbriche, anche con gli aiuti del credito d’imposta, ma quello dell’intero ecosistema industriale, rendendola più veloce, autonoma, efficiente e incentrata sul cliente. Uno dei punti dell’aspetto centrale di Industria 4.0, che fa pensare alle PMI italiane, è che questo è incentrato nell’innovazione della “forza lavoro”, in quanto, con l’introduzione dell’uso di strumenti e attrezzature automatizzate, gli attuali posti di lavoro nel settore manifatturiero sono ad alto rischio. Secondo i presupposti principali della nuova dottrina industriale, i nuovi compiti assegnati ai lavoratori saranno quelli spesso legati al monitoraggio delle apparecchiature automatizzate e che saranno integrati nei processi di decisione decentrata. Sempre secondo la nuova rivoluzione industriale, il nuovo settore digitale richiederà una nuova serie di competenze, che non saranno sicuramente quelle artigiane, ma una necessaria manodopera riqualificata attraverso una nuova forma d’istruzione e formazione. In poche parole tutti ingegneri e nessun artigiano!! Forse è un concetto che può piacere alla Germania per alcuni settori industriali dove il concetto di creatività e maestria artiginale è irrilevante, ma non per l’Italia. Non è un caso, infatti, che industria 4.0 è nata come misura di politica industriale del governo tedesco e poi trasmessa agli stati membri europei, al fine di garantire l’innovazione del tessuto produttivo e generare effetti positivi non solo dal punto di vista economico, ma per la società nel suo complesso.
Alle PMI italiane del comparto Tessile, Moda e Accessori che hanno incentrato la propria fama del made in Italy attraverso il know-how costruito da generazioni, sicuramente piace l’investimento sulla formazione professionale, ma soprattutto per valorizzare artigianato e manodopera di qualità e non solo che questa sia orientata quasi eslusivamente verso il digitale. A sostegno del valore del made in Italy, anche Unimprese in un convegno sulle opportunità di lavoro si è espressa richiamando che c’è il forte bisogno di tramandare e salvaguardare la manodopera che realizza con le proprie mani un valore di eccellenza grazie alle proprie competenze ed estro. La consigliera nazionale di Unimprese ha rimarcato che In italia questo patrimonio si sta perdendo con lo scomparire dei sarti e delle botteghe che creavano del made in Italy grazie al lavoro manuale e alla forza creativa che fa parte del saper fare italiano. L’industria italiana cresce e sicuramente ci sarà bisogno di nuove competenze ma anche di manodopera specializzata.
Oltre al connubio di coniugare innovazione e tradizione
In tutta questa prospettiva, il sistema moda italiano rappresenta uno di quei settori che più di tutti sta interrogandosi su come utilizzare l’opportunità 4.0 per rafforzare il suo posizionamento competitivo all’interno di uno scenario che impone una crescente capacità di innovazione internazionale, efficienza e creatività manifatturiera. Questa però non dipenderà solo dal settore moda, perchè il successo o l’insuccesso di Industria 4.0, dipenderà dalla capacità dei fondi publlici di sostenere le imprese per il loro processo di trasformazione e della capacità delle imprese stesse di investire cogliendo questa opportunità. Non mancherà sicuramente alle PMI italiane di trovare poi il giusto connubio nel coniugare risorse tecnologiche con quelle tradizionali che fanno un punto di forza della maestria manufatturiera del Made in Italy. Intanto i report del 2023 sull’occupazione e gli sviluppi sociali in Europa sono stati pubblicati dalla Commissione europea. Il rapporto evidenzia che l’economia dell’UE ha dimostrato una notevole capacità di recupero rispetto al 2022, con un tasso di occupazione record del 74,6% e una disoccupazione al minimo storico del 6,2%, anche se non si registrano segnali di adattamento delle persone e del mercato alla transizione verde e digitale. Nonostante i sorprendenti risultati, persistono alcune carenze nel mercato del lavoro e nella manodopera. In occasione dell’Anno Europeo delle Competenze, la relazione dell’ESDE evidenzia le possibili azioni da intraprendere per fronteggiare la carenza di manodopera e colmare il divario di competenze. L’UE insieme all’iniziativa Next GenerationEU, supporta questa iniziativa mediante un finanziamento di 64.8 billioni di euro destinato a sostenere programmi di formazione, riqualificazione e aggiornamento per adulti in alcuni settori per la transizione verde e digitale. Senz’altro una iniziativa onorabile per la forza lavoro, ma mentre l’EU punta quasi tutto per la transizione verde e digitale, le aziende in Italia, anche con la partecipazione di consorzi e associazioni, gridano preoccupazione sulla mancanza di manodopera in genere oltre a quella specializzata.
L’allarme su una comunicazione sbilanciata
L’allarme è quello lanciato dalla Confartigianato nel mese di agosto 2023 oltre dalle singole aziende, in quanto la carenza di manodopera è ufficiale tra le imprese italiane e in tutti settori. Già quella manodopera specializzata assillava i vari comparti in quanto sempre più carente, ma sembra veramente paradossale che mentre il lavoro esiste, quasi due milioni di giovani tra 15 e 29 anni non studia, non si forma e non cerca occupazione. C’è forse una comunicazione errata perché esiste tutto questo? …o forse perché non esistono progetti che possono coinvolgere i giovani nel mondo del lavoro, come quello dell’artigianato per esempio? …il solo progetto transizione green e digitale che per quanto viene fortificato ogni anno dall’UE, garantirà una occupazione stabile ai giovani, quando lo stesso presenta ancora rivisitazioni altalenanti? Mentre possiamo pensare se quello che stiamo perseguendo è giusto, c’è chi ha lanciato, come il Distretto delle pelli-calzature Fermano-Maceratese, un progettto finalizzato al rilancio delle attività industriali, alla salvaguardia dei livelli occupazionali, al sostegno dei programmi di investimento e sviluppo imprenditoriale nel territorio. Nel frattempo però sempre in questo distretto calzaturiero le aziende si contendono i dipendenti perché non esiste manodopera specializzata. Il problema della carenza di manodopera in questo distretto è potenziato dall’effetto-griffe che hanno scelto queste province per ampliare le loro produzioni di marca. Le PMI sono al collasso senza manodopera. Mentre pensano di reclutare nuovi dipendenti all’estero e sollecitare la Confindustria Fermo, CNA Federmoda di Fermo e anche la Fondazione ITS, quest’ultimo tramite la presidenza ha affermato: «Non riusciamo a completare le classi perché non c’è l’amore dei giovani verso il lavoro manuale».
Un’affermazione che ci lascia basiti perché se così fosse non siamo lanciati verso quelle prospettive tanto acclamate dall’UE ma verso la fine del made in Italy.