Quando Customizzare è Illegale
Sempre più frequentemente, soprattutto nel settore delle calzature, ed in particolare delle snakers, assistiamo ad episodi di personalizzazione realizzati ad opera di terzi non legati né autorizzati dalla casa madre ad intervenire sul prodotto originario.
Spesso si tratta di calzature rivendute on line e per la pubblicizzazione dei rispettivi siti viene utilizzato il marchio delle calzature oggetto della personalizzazione.
La questione deve essere trattata in considerazione dei vari principi giuridici che entrano in gioco nel caso di specie, rappresentati in particolare dal (i) Principio dell’Esaurimento, (ii) Distribuzione selettiva, (iii) Tutela dei diritti di marchio.
La circostanza di chiamare all’appello il Principio dell’Esaurimento comporta di contestualizzare la questione in ambito italiano ed Europeo.
Ma vediamo in sintesi il contenuto dei principi espressi.
Principio dell’esaurimento
Il Principio dell’Esaurimento è previsto a livello comunitario e recepito in Italia dall’art. 5 del D.Lgs. 30/2005 (c.p.i.), e prevede che il titolare di un marchio (o di altro diritto di Proprietà Industriale) non può più fare valere i propri diritti di privativa o esclusiva, impedendo l’ulteriore circolazione del bene su cui i diritti di Proprietà Industriale insistono, una volta che tale bene sia stato immesso in commercio (in Italia o nel territorio di uno Stato membro dell’Unione Europea o dello Spazio economico europeo – SEE), dallo stesso titolare o con il Suo consenso.
In termini più semplici, con il primo atto di vendita (anche del licenziatario o distributore) il produttore accetta che i beni possano liberamente circolare sul mercato, perdendo la facoltà di bloccarli per contraffazione.
Sempre secondo tali norme, l’esaurimento comunitario è escluso qualora sussistano “legittimi motivi perché il titolare stesso si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato di questi è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio”.
Inoltre, le logiche del customizing possono scontrarsi con i sistemi di distribuzione selettiva che sussistono quando i) il prodotto commercializzato sia un articolo di lusso e ii) sussista un pregiudizio effettivo all’immagine di lusso o di prestigio del marchio a causa della commercializzazione da parte di soggetti estranei alla rete distributiva.
Distribuzione Selettiva
Si parla infatti di distribuzione selettiva quando i beni sono venduti dal produttore solo a destinatari selezionati, solitamente scelti sulla base di alcune caratteristiche peculiari che possono valorizzare il prodotto. Si tratta dunque di un sistema “garantista” delle caratteristiche qualitative del prodotto che è in grado di aggiungere valore nella catena di distribuzione.
La giurisprudenza, in una recente sentenza del tribunale di Milano, ha ritenuto che potessero trovare riconoscimento i principi della distribuzione selettiva e quindi il diritto di bloccare a distribuzione non autorizzata, a fronte di cosmetici di qualità elevata che fossero:
- “mescolati ad altri articoli, quali prodotti per la casa e per le pulizie, prodotti comunque di basso profilo e di scarso valore economico”;
- Accostati “a marchi di fascia bassa, di qualità, reputazione e prezzo molto inferiori o comunque di gran lunga meno prestigiosi”;
- mancanti di un “idoneo servizio clienti, analogo a quello assicurato dalla presenza nel punto vendita fisico di una persona in grado di consigliare o informare i consumatori in maniera adeguata”, in grado di “compromettere quell’aura di esclusività che ha sempre contraddistinto l’immagine del marchio”.
Tutela dei diritti del Marchio
Gli altri diritti fondamentali che entrano in gioco nel caso del customising sono i diritti di Marchio e/o di Design (o gli altri diritti di Proprietà Industriale) ed in generale lo sfruttamento dell’immagine di un prodotto più o meno noto.
A proposito di diritti di Marchio e/o Design, la normativa Europea ed il Codice di Proprietà Industriale attribuiscono in esclusiva al titolare di tali diritti la facoltà di sfruttamento potendo impedire a terzi non autorizzati di usare segni distintivi o Design identici o simili.
Questo diritto attribuito in esclusiva è da intendere come un “premio” che l’ordinamento attribuisce a chi abbia compiuto degli investimenti per avviare un nuovo progetto ed immetterlo sul mercato e farlo diventare noto al pubblico, provvedendo a mettere al sicuro i segni distintivi dei prodotti oggetto dell’innovazione.
Orbene sono proprio i diritti di Marchio ed il principio della distribuzione selettiva ad incidere massimamente sulla valutazione della liceità delle pratiche di customising.
Qual’é il Problema?
Il punto da cui si deve partire per analizzare il caso è che il customizing presuppone che vengano compiuti degli interventi sul bene originario che non viene venduto telle quelle ma alterato rispetto a come è stato progettato dalla casa madre, ottenendo così un prodotto nuovo combinando il marchio celebre con altri elementi.
Il prodotto ottenuto dalla customizzazione non corrisponde a quelli progettati ed approvati dalla casa madre che attuando politiche di marca ha il diritto di controllare le caratteristiche dei prodotti su cui è apposto il proprio marchio non solo per ragioni di diritti di privativa sul segno distintivo ma anche per la valutazione della coerenza del prodotto con le politiche aziendali ed il messaggio pubblicitario.
Si deve infatti riflettere sul fatto che il customising viene per lo più realizzato su prodotti noti rispetto ai quali la casa madre compie degli investimenti anche in termini di politica di marca, lavorando sul posizionamento del marchio e sul messaggio di cui lo stesso deve essere portatore. Bene, è evidente come il customising potrebbe essere capace di incidere altresì sul messaggio che la casa madre ha definito a priori con attente politiche di marchio e marketing.
Non meno importante è anche l’aspetto dello sfruttamento, da parte di chi realizza il customizing, del potere attrattivo del marchio altrui per ottenere un ingiustificato vantaggio. Si rifletta sul fatto che in alcuni casi il marchio noto viene utilizzato anche come parola chiave di ricerca o all’interno della stringa di ricerca del sito internet del terzo.
Per via delle considerazioni sopra esposte, in questo caso non può trovare applicazione il principio dell’esaurimento del diritto del marchio, ma, venendosi a creare un’interferenza con i diritti di esclusiva in capo al titolare, viene data prevalenza alla tutela che il nostro ordinamento riconosce a quest’ultimo.
In relazione al customising, sono intervenute alcune decisioni giurisprudenziali, pronunciatesi escludendone la liceità.
Uno dei tribunali investiti della questione è il Tribunale di Udine che si è occupato della produzione e commercializzazione di spille che venivano realizzate utilizzando e combinando bottoni originali su cui erano apposti i marchi di note maison di moda.
Dall’analisi dei giudici è emerso che il prodotto ottenuto dalla combinazione fosse un articolo del tutto nuovo, non autorizzato e voluto dalla casa madre, titolare del marchio.
Nella condotta i giudici hanno ravvisato il reato di “Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali” ai sensi dell’art. 473 c.p. in quanto la presenza di marchi noti sui bottoni dà luogo ad una violazione della fede pubblica, ingannando i consumatori sulla provenienza aziendale del prodotto.
Sotto il profilo interpretativo, la sentenza arriva ad adattare la portata del citato articolo alla fattispecie del customizing, sebbene essa non rientri ab origine nella concezione della norma. Tuttavia, i giudici sono stati in grado di dare una risposta a questa nuova pratica affermando i diritti di marchio.
Un caso ulteriore passato al vaglio della giurisprudenza statunitense del distretto di New York è quello degli orologi Rolex che venivano personalizzati dall’Azienda La Californienne che apponeva dei cinturini personalizzati e colorati.
Rolex lamentava che l’alterazione dei propri prodotti comprometteva la validità della garanzia e si trattasse di un utilizzo non autorizzato del marchio Rolex idoneo ad ingenerare contraffazione. Non da ultimo rilevava che tale condotta avesse creato confusione sul mercato visto che alcuni clienti avevano contattato un rivenditore autorizzato Rolex per l’assistenza.
Sulla base di tali circostanze, Rolex reclamava la violazione del marchio e la contraffazione dello stesso, nonché la falsa denominazione d’origine, chiedendo al tribunale americano un provvedimento ingiuntivo per impedire immediatamente e permanentemente a La Californienne di continuare a vendere i propri prodotti customizzati. La vicenda si è conclusa con un accordo che ha permesso a La Californienne di continuare a vendere i propri prodotti, evitandone però l’associazione al brand Rolex.
Volendo quindi fornire delle indicazioni più sintetiche sulla pratica del customising, le conclusioni possono essere così sintetizzate:
- La pratica, quando comporti un’alterazione del prodotto, è contraria alla normativa in materia di marchi, al principio dell’esaurimento e alle regole della distribuzione selettiva, se ne ricorrano i presupposti;
- La prassi oggi ampiamente in voga soprattutto per le snakers è perseguibile civilmente e penalmente dai lettimi ed originari titolari dei marchi che sono legittimati a non ammettere alterazioni del prodotto originario e sfruttamento dell’immagine di marca, specie se un brand famoso.
Tuttavia, può dirsi completamente legittimo il caso di chi privatamente acquisti un prodotto di marca e richieda a titolo privato delle alterazioni del prodotto, anche rivolgendosi ad un professionista del settore.
Perseguibile è allora solamente la condotta dell’intermediario che acquisti il bene originario, lo riadatti e lo rivenda con un mark up, legato alla lavorazione.
Il fatto che la pratica sia molto in voga non legittima la condotta ed è consigliabile richiedere idonea autorizzazione al titolare dei marchi originari per evitare spiacevoli sorprese.